Rischi delle tecnologie immersive
Parliamo sempre dei loro vantaggi, ma oggi vorremmo affrontare un argomento diverso. Quali sono i lati negativi e i rischi delle tecnologie immersive.
Premessa
In passato abbiamo cercato di rispondere ad alcune delle obiezioni più resistenti tra i non addetti ai lavori. Le potete trovare in questo articolo dell’anno scorso, tutto sommato invecchiato abbastanza bene. Quanto meno per quello che riguarda il panorama italiano.
Avevamo anche già affrontato parzialmente il tema di oggi in due altri articoli, questi un po’ più attempati (eccoli, parte 1 e parte 2).
In generale i lati negativi e i rischi delle tecnologie immersive sono legati sì alla tecnologia in sé, ma anche al fattore umano. Ci teniamo subito a dire che tra i rischi non è inclusa né menomazione fisica, né tantomeno morte. Se qualcuno ha la bella idea di mettersi un Quest in testa e giocare a Beat Saber in cima ad un dirupo e poi cade, non direi che possiamo ascrivere la morte alla realtà virtuale, che dici? 😉
Gli aspetti negativi della tecnologia in sé stanno nell’ancora non ottimale sviluppo dei visori e degli smartglasses. Questo a sua volta frena la creazione di contenuti, dettaglio non da poco nella diffusione della tecnologia. Ne parliamo a breve.
I rischi invece sono più connessi con noi utenti e con l’interazione che avremo, in parte abbiamo già, con la tecnologia. Sono prevalentemente di carattere psicologico.
Insomma, quali sono i lati negativi e i rischi delle tecnologie immersive?
1. Visori o mancanza degli stessi
I visori hanno fatto passi da gigante, sia quelli per la realtà virtuale, sia quelli per la realtà aumentata (smartglasses). I visori per VR sono liberi dal cavo che li collegava al PC, più leggeri, più comodi, con schermi migliori etc. Questo ha contribuito, insieme alle tecniche di produzione dei contenuti che ne hanno tenuto conto, ad aumentare il tempo di utilizzo. Ma i visori rimagono scomodi. Noi stessi non ci immaginiamo di passare ore con il visore in testa, pur avendolo fatto qualche volta sporadica. Questa è per esempio una delle ragioni per cui ancora vediamo lontana una adozione massiccia di VR per lo sport: sudare con un visore sulla faccia può essere spiacevole per molti…e su questo, comunque, chi scrive predilige aria aperta per l’attività fisica, tutto l’anno.
Per l’AR i visori, o smartglasses praticamente non ci sono. No, non è vero. Esistono alcuni modelli, tipo quello di Meta (FB) in collaborazione con RayBan, o quello di Snap con Nike. Questi sono una buona approssimazione di quello che gli smartglasses dovranno essere come peso e comodità, perché sono occhiali normali con un’implementazione tecnologica. Ma sono molto carenti dal punto di vista delle prestazioni. Per l’AR le soluzioni al momento sono o tablet/smartphone, o visori ingombranti, o occhiali con poca potenza computazionale e che quindi non attirano.
Insomma, i visori o sono inadatti ad un uso prolungato, o non ci sono proprio.
2. Contenuti poco avvincenti
La mancanza di diffusione dei dispositivi in modo capillare, a causa delle ragioni descritte sopra, ha come conseguenza una scarsità di contenuti di qualità. Il motivo è facilmente intuibile. Le case di produzione non investono le cifre necessarie per ricerca e sviluppo, se non hanno la possibiltà di avere un ritorno. Con i numeri a disposizione ora questa promessa di ritorno non era pensabile. Va detto che a novembre 2021 Meta ha dichiarato di aver venduto 10 milioni di unità del Quest II. E questa era la soglia che secondo Zuckerberg doveva essere superata per iniziare la spirale positiva tra contenuti che migliorano e utenti che aumentano di conseguenza, facendo migliorare ancora i contenuti etc. Un altro problema legato ai contenuti è che i visori senza cavo non hanno un potere computazionale sufficiente a reggere esperienze molto elaborate e rifinite, e i visori “thethered“, cioè con cavo (tipo Vive e Varjo) pur avendolo, sono poco comodi. Quindi per la massa di visori c’è un limite tecnologico, per l’elite con visori e pc da gamer c’è il limite dei numeri. Risultato: no killer app per ora.
Un po’ diversamente vanno le cose per la realtà aumentata. I nostri smartphone e tablet sono abbastanza potenti per fare giochi interessanti in AR. Pokemon Go è stato un bell’esempio, che usava tra l’altro anche la geolocalizzazione. Tuttavia il dispositivo da tenere in mano e in cui guardare rimane un po’ scomodo per poter liberare completamente la creatività degli sviluppatori. Ancora una volta, la tecnologia limita, in parte, i contenuti. Però qui la killer app c’è stata, anche se è stata una meteora, ed è stata Pokemon Go, appunto.
3. Costi
Qui c’è poco da dire. I visori costano. Per quanto poche centinaia di euro non siano poi chissà che cifra in sé (parliamo dei visori di fascia media), il costo va chiaramente messo in relazione all’uso che ci si aspetta di fare del visore. Se non ci sono contenuti per cui non lo si usi con una certa costanza almeno qualche volta a settimana, per molte persone non vale la pena spendere i soldi.
Per i visori di realtà aumentata, quelli con una certa potenza, tipo Hololens di Microsoft il costo è ancora di più un ostacolo. Il fatto è che sono al momento più adatti a contenuti creati apposta per vari settori professionali, che per far girare contenuti a pagameto scaricati da librerie.
E poi ci sono i costi di realizzazione. Modellare, animare e programmare, così come fare le foto e le riprese 360, la post produzione e il project management delle app costano soldi, non pochi. Per questo molte richieste che ci arrivano sono per esperienze già fatte che possano avere qualche attinenza col settore del cliente. Ma qui torniamo al punto 2, pochi contenuti disponibili. Quindi vanno fatti ex novo. E questo costa tanto.
4. Hype, dibattiti polarizzati…
Zuckerberg ci ha messo il suo. Alla presentazione del nuovo nome dell’azienda, Meta, ha buttato un po’ di combustibile su certe esagerazioni che sono tutte interne al mondo XR. C’è gente che usa parole come “rivoluzione”, “centralità dell’individuo”, “cooperazione massima”, “comunità” vedendo e vendendo il Metaverso come qualcosa che non è. Perché il Metaverso ancora nessuno sa cosa sia con precisione.
La parola torna comoda perché riassume una realtà piuttosto variegata. Come abbiamo scritto in un articolo passato ( “Cosa significa Metaverso?”), al Metaverso appartengono la realtà aumentata, la realtà virtuale, gli NFT, la blockchain, le criptovalute…tutte cose che a ben guardare hanno solo un elemento in comune: il digitale. Non possiamo nemmeno dire internet, perché anche se la rete è fondamentale per motivi logistici, in realtà VR e AR funzionano perfettamente senza, se l’app lo prevede.
Su questo hype si innesta un dibattito tra entusiasti poco prudenti, realisti sprezzanti e conservatori…spaventati? Siamo ottimisti, e crediamo che ognuna di queste categorie abbia le sue ragioni. Noi per primi – potete verificarlo guardando i primi articoli del blog – abbiamo peccato di entusiasmo imprudente. La verità è che, come successe per Internet, anche le tecnologie immersive stanno attraversando un processo fisiologico di adozione e adattamento conseguente. E questo processo non è né rapido, né rivoluzionario, come si vorrebbe (far) credere.
Ma non troviamo nemmeno produttivo che i realisti, che pur credono nella tecnologia, si scaglino contro i sognatori. L’energia che questi ultimi hanno e mettono nel loro lavoro sarà con ogni probabiltà quella che porterà ai risultati più interessanti nello sviluppo delle infrastrutture e dei contenuti del Metaverso.
Sui conservatori, se è effettivamente per paura del nuovo che sminuiscono e demoliscono, non possiamo che tentare di rassicurarli: manteniamo la convinzione che nessuno sviluppo tecnologico sia negativo o positivo di per sé. Come lo useremo, lo sceglieremo insieme.
…e aria fritta
E l’hype crea anche false aspettative, che poi vengono invariabilmente deluse, e portano ad un disamoramento del pubblico. Ci è stata per esempio chiesta un’esperienza didascalica in VR per chirurghi che simulasse la differente consistenza dei vari tessuti del corpo umano. Questo al momento non è possibile da un punto di vista tecnico. Ci sono dispositivi sperimentali che stanno introducendo sensazioni tattili per le mani, ma ancora niente di assolutamente così preciso e specifico è tecnicamente possibile.
Poi succede anche che ci siano persone che fanno contenuti pessimi, perché si sono rivolti all’azienda sbagliata. Rischiamo la denuncia, quindi non possiamo fare nomi. Ma a noi è successo di formare un paio di persone di spicco in un particolare settore e di scoprire dopo due anni che si sono fatti fare l’esperienza da qualcun altro. Solo che chi gliel’ha fatta non conosceva il suo mestiere, e pur di prendere il lavoro con un VIP, ha fatto qualcosa che non si poteva fare. Il risultato è nausea in buona parte delle persone che hanno provato quell’esperienza, il che non farà certo bene all’utilizzo della tecnologia nel settore in questione, purtroppo.
5. Dissociazione
Ci sono poi i pericoli veri e propri legati alla dissociazione dall’ambiente reale. Questo aspetto riguarda solo la realtà virtuale. Chiunque abbia provato un visore e abbia avuto un’esperienza che lo ha tenuto “incollato” per qualche minuto, ha provato la cosiddetta immersività. Per quanto sia irreale lo scenario dell’esperienza, per esempio con resa grafica da cartone animato o altro, dopo un paio di minuti la nostra realtà visiva DIVENTA quella dell’esperienza. La percezione è di presenza totale, e l’irrealtà dei contenuti non è sufficiente a rompere l’incantesimo. Pensa a quella famosa storia (probabile bufala) del primo cortometraggio che riprendeva l’arrivo della locomotiva in stazione. Si dice che la gente scappò dal cinema. Ecco, con la VR la sensazione è quella che avrebbero provato gli spettatori: sei lì, quello che ti circonda è reale.
Si capisce come con un simile potere ci siano ampi margini per lo sviluppo di dissociazione patologica dalla realtà. Questo fenomeno, di per sé ampio, è affontato in un bell’articolo di un pioniere della VR in psicologia: il prof. Riva.
6. Incidenti domestici
Questa è esperienza personale. Non diremo chi di noi, giocando al già citato Beat Saber ha distrutto un lampadario di casa sua. Il sistema di controllo integrato nei visori e che usa delle camere esterne funziona ora molto bene. Appena indossato il visore, ci verrà chiesto di disegnarlo con i controller. Da quel momento ogni volta che una nostra mano o la nostra testa uscirà da esso, si attiveranno le camere che ci permetteranno di vedere l’area circostante e una griglia apparirà nel campo visivo. Questo sitema, detto guardian, però non individua ostacoli collocati sopra la nostra testa. Percui, se sei intento ad affettare oggetti o nemici con una spada laser, potresti ripetere l’esperienza del nostro socio.
A parte questo il guardian si attiva in tempo reale, ma i nostri movimenti bruschi potrebbero essere più veloci. Inoltre, non veniamo avvisati se qualcuno è nelle vicinanze (non dentro l’area di gioco). Quindi c’è il rischio di tirare un pugno in faccia ad un malcapitato passante.
Conclusione
Non siamo così sciocchi da non vedere che, come ogni cosa umana, anche VR e AR con cui lavoriamo ogni giorno presentano delle complessità. I lati negativi e i rischi delle tecnologie immersive che abbiamo riassunto sopra sono, secondo noi, abbastanza facilmente risolvibili o arginabili. Si tratta di lasciare che il naturale processo fisiologico di sviluppo, adattamento e adozione faccia il suo corso. Ci vorrà del tempo, pensiamo non moltissimo.
In merito alle problematiche sull’uso che le persone faranno di realtà virtuale e di realtà aumentata, lo abbiamo detto in passato, lo ribadiamo anche ora. L’innovazione può essere positiva o dannosa, dipenderà dai limiti che ci daremo, o dalla loro assenza.
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