Aspettative e realtà nel Metaverso
Il tema dell’articolo di questo mese – aspettative e realtà nel Metaverso – non è assolutamente nuovo. Ne scrivevamo già nel 2018, in “VR e AR: realtà e fantascienza”.
Riteniamo che sia ancora necessario affrontare il divario tra aspettative di clienti o pubblico e realtà effettiva. Dalla nostra esperienza personale con i preventivi che ci vengono richiesti e dalle discussioni che vediamo tra gli addetti ai lavori, ci rendiamo conto che c’è ancora moltissima confusione.
Vogliamo però fare prima una premessa sul Metaverso.
Prima di tutto
Gli ultimi articoli del blog sono stati un po’ polemici sul tema. Il punto è che per noi perfino il termine stesso è improprio. Lo è quantomeno da un punto di vista cronologico. Cioè, il Metaverso, qualunque cosa sia, non esiste ancora. Se usiamo il termine è per l’hype che si è generato intorno ad esso.
Fatte queste premesse, di che parliamo noi di Augmenta quando usiamo la parola Metaverso, o M-word, come la definisce Antony Vitillo di The Ghost Howls (blog che ti straconsigliamo di seguire)? Parliamo di spatial computing o tecnologie immersive. Cioè di realtà virtuale, realtà aumentata e virtual tour. Essenzialmente parliamo del nostro lavoro.
Quindi nell’articolo di oggi riprendiamo un po’ il discorso fatto quattro anni fa alla luce dei nuovi sviluppi tecnologici. Questi hanno da un lato aperto possibilità che prima non esitevano, dall’altro hanno naturalmente fatto nascere nuove illusioni.
Le aspettative irrealistiche del pubblico, clienti e non, sono tali – irrealistiche – a causa di due grandi famiglie di problemi:
- le effettive possibilità tecnologiche attuali
- i costi che la gente si aspetta
Vediamole.
Distanza tra desideri e realtà: le sfide tecniche
Quando senti Metaverso ti immagini un mondo immersivo in cui tu dalla comodità del tuo divano o salotto puoi viaggiare, camminare, spostarti come fai normalmente nel mondo reale magari con un avatar creato su misura da te, in forma umanoide o anche no? In altre parole, ti immagini The Oasis di Ready Player One?
Se questo è quello che vedi nella tua testa, ci dispiace dirti che siamo spannometricamente distanti un paio di decenni almeno dall’avere le possibiltà tecniche per poter realizzare qualcosa di simile. In tutta franchezza, potrebbero mancare ancora cinquant’anni.
I problemi tecnici da risolvere per avvicinare aspettative e realtà e giungere ad un risultato anche solo assimilabile a questo sono diversi:
Hardware
Abbiamo ottimi visori al momento, ma il massimo di definizione delle immagini è ancora lontanissimo da quello proposto dal film. Per i visori di massa – che ancora in realtà di massa non sono visti i numeri di unità vendute (15 milioni di Quest II di Meta al momento della stesura dell’articolo) – parliamo di 4K di definizione. Siamo certi che il tuo televisore possa fare molto meglio di così.
Il movimento nei mondi virtuali non è ancora realizzabile così come si vede nel film o legge nel libro. Sono da anni allo studio soluzioni “da salotto” per così dire, ma come per i visori, niente ancora è andato poco oltre la fase di prototipo o è commercializzabile al grande pubblico. Per muoversi in VR le soluzioni più usate sono il teletrasporto o la leva direzionale sui comandi. È assolutamente possibile creare ambienti virtuali in scala 1:1 in cui muoversi camminando, ma questi necessitano di un corrispettivo ambiente reale che sia grande quanto quello virtuale e di sensori di movimento sparsi capillarmente nell’ambiente reale, in modo da poter tracciare gli spostamenti nello spazio del tuo corpo. The Void era un’esperiemento di sala giochi virtuale che usava proprio questo principio. Esperimento fallito, ma comunque spettacolare.
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A dire il vero c’è poi anche il dilemma se un mondo virtuale di questo tipo abbia senso, serva o no. Lo vedremo.
Infrastruttura
La quantità di dati che tutta l’infrastruttura dovrebbe poter gestire per mantenere in piedi e rendere interagibile con rendering in tempo reale di oggetti, avatar e ambienti è impressionante. Non stiamo parlando di un videogioco con milioni di utenti, con mondo chiuso e quindi, difficile, ma gestibile dal potere computazionale delle macchine e dei server che abbiamo ora. Stiamo parlando di qualcosa di infinitamente più grande. Dovrebbe essere in grado di tenere online tutti i possibili utenti in contemporanea, senza rischio di crash, e pure “salvare” i risultati delle azioni compiute, verosimilmente.
Facciamo un esempio per chiarire cosa intendiamo. Se tu e il tuo avatar rompete un muro nel mondo virtuale, per ipotesi, quel muro deve rimanere rotto o no? Se passa un altro avatar dopo mezz’ora come viene gestita la questione? Rendere permanenti le azioni compiute e le loro conseguenze aggiunge complessità. Ne parla Matthew Ball nel breve video sotto, se ti interessa, insieme a molte altre cose.
Interoperabilità
Questa è attualmente la madre di tutte le sfide. Come dicevamo nell’articolo del mese scorso, “NFT, criptovalute, Blockchain, DeFi, DAO…WTF?!?”, il problema principale è che non ci sono degli standard condivisi tra i vari potenziali attori del Metaverso.
Facciamo un passo indietro. Per interoperabilità, intendiamo la possibiltà che contenuti prodotti su una piattaforma o con un software possano poi essere usati, mostrati e condivisi anche sulle altre. L’esempio che fa Ball nel video sopra è quello di una foto su Facebook. La puoi scaricare e poi usare su Snapchat o caricarla su un sito che preveda questa possibilità.
Questo è possibile perché Facebook ha l’opzione di scaricare la foto e perché esistono dei formati standard di foto accettati più o meno ovunque. Ti puoi immaginare quanto sia molto più complesso per un file 3D come quelli che vengono usati e andrebbero scambiati nel Metaverso. E questo sia per le maggiori dimensioni dei file stessi, sia perché ancora non c’è nessuno standard condiviso.
Contenuti liberamente utilizzabili per tutti i gusti
Un’ultima illusione che ci capita spesso di dover squarciare riguarda i contenuti. Della mancanza di contenuti, delle ragioni e del fatto che sia uno dei principali ostacoli all’adozione di massa dello spatial computing abbiamo parlato noi in “Perché non abbiamo tutti un visore addosso?” e non solo noi, ma anche Finances Online in questo articolo sulle statistiche. L’utente finale però si aspetta di trovare contenuti disponibili, magari da personalizzare, ma che siano adatti al suo particolare settore.
Chiariamo con un esempio. La settimana scorsa ci è arrivata una richiesta per un “software che possa essere utilizzato come formazione delle guardie giurate e altre figure armate”. Essenzialmente la persona stava cercando un applicazione già pronta. Ci sono alcuni settori in cui questo è probabilmente già possibile, grazie ad aziende che producono app specifiche solo per quel campo. Pensiamo a Osso VR, azienda che si è specializzata nella formazione chirurgica.
Ma questa è senza dubbio una luminosa eccezione nel panorama attuale. Pertanto, per il momento, nella maggior parte dei casi l’unica soluzione rimane quella dell’esperienza ad hoc, creata su misura per il cliente…se se la può permettere. Ma di questo parliamo a breve.
Le sfide tecniche di cui sopra – abbiamo riportato le più grandi e ovvie, ma non finiscono qui – ci pongono una domanda fondamentale: ne vale la pena? Vale la pena usare energie intellettuali per trovare la quadratura del cerchio, per così dire, e risolverle? Lo spatial computing, la realtà virtuale e quella aumentata hanno utilizzi potenziali e use case (pochi ancora) molto impattanti, secondo noi. E la ricerca per un miglioramento delle possibilità di utilizzo che porti all’adozione di massa è sicuramente una cosa buona.
Ma un mondo digitale in cui immergerci e vivere parte della nostrsa vita, con anche implicazioni sul mondo reale, a noi come genere umano serve davvero? Ha una reale utilità? Insomma, un Metaverso completo, globale, interoperabile è una prospettiva utile?
Augmenta non ha una risposta a questa domanda. Molti dubbi, poche certezze. Ci riserviamo di riflettere e studiare ulteriormente prima di esprimere un’opinione in merito.
Vorrei ma non posso
Tema furstrante per noi che ci lavoriamo, quello dei costi. Noi siamo un po’ cari, per scelta. Tuttavia le aspettative e la realtà su questo tema divergono in maniera alle volte impressionante. Ci arrivano richieste per lavori anche complessi, che però il cliente non si aspettava di dover pagare tanto. Stiamo parlando di tecnologie all’avanguardia, che utlizzano strumentazione e attrezzature costose sia per la produzione sia per la fruizione.
Un’esperienza di realtà virtuale costa soldi. Un’app di realtà aumentata costa soldi. Un virtual tour costa soldi. Tanti, alle volte tantissimi.
Il lavoro che c’è dietro, invisibile per ovvi motivi ad un non addetto, è imponente. Ti vogliamo fare un esempio di un processo semplice, perché tu ti possa rendere conto.
Prendiamo un virtual tour con numero minimo di 10 fotosfere (foto 360), 3 videosfere (video 360) e 10 hotspot (interazioni) per le sole videosfere (quindi 30 interazioni totali).
Ecco le fasi pre, durante e post di un lavoro di questo tipo:
- Sopralluogo nella località delle riprese.
- Stesura della shooting list (la sceneggiatura).
- Selezione strumentazione e numero persone in troupe in base ai punti 1 e 2
- Trasferta troupe + attrezzatura
- Eventuale pernottamento + vitto per tutta la troupe
- Riprese (1 giorno)
- Controllo materiale girato in situ per esssere sicuri che non si debba rigirare
- Download materiale
- Stitching (montaggio)
- Post produzione audio
- Programmazione hotspot
- Aggiunta contenuti hotspot
- Test e debug
- Messa online del virtual tour sul sito del committente o dove richiesto
Infine c’è chiaramente da aggiungere la professionalità di chi fa il lavoro e il mark up aziendale. Per motivi personali, preferiamo non portarti numeri qui. Ma se vuoi vedere un esempio di virtual tour e saperne il prezzo ci puoi contattare direttamente.
Come detto sopra, tutto questo è invisibile per un non addetto, ed è comprensibile che sia così. Però il carico di lavoro c’è, e va conteggiato.
Ecco, ora immagina che la realtà virutale e quella aumentata hanno costi tendenzialmente ancora più elevati.
Concludiamo?
Aspettative e realtà raramente conincidono nel mondo della realtà virtuale, aumentata e dei virtual tour. L’hype eccessivo generato da entusiasti un po’ ingenui, combinato con la mancanza di informazioni corrette ha creato in questi anni l’illusione che Ready Player One sia già qui.
Niente di più falso. Come diciamo spesso il concetto di Metaverso è per ora solo un concetto e non è nemmeno del tutto chiaro. Si può fare molto con le tecnologie a nostra disposizione ora, molto più di quello che si poteva fare anche solo sei anni fa, quando cominciammo in questo settore. Basti pensare che all’epoca esisteva solo un visore, l’Oculus CV1, che non aveva i controller per le mani che ci sono ora, e necessitava per forza di un computer da gamer per poter fare girare le applicazioni. Ora abbiamo ottimi visori stand alone (senza computer), sensori di movimento direttamente applicati sul dispositivo che tracciano il movimento delle mani. Abbiamo più aziende che concorrono in una sana competizione per il mercato di massa dei visori. Abbiamo aziende che stanno costruendo piattaforme e si sta cominciando a discutere dell’interoperabilità.
Gli ostacoli rimagono però alti, i costi pure.
Per quanto possiamo comprendere che chi non ci lavora non abbia una reale comprensione di tutti questi aspetti, crediamo che sia sempre opportuno, quando ci si avvicina ad un settore nuovo, informarsi bene su cosa è possibile e cosa no. Su quanto aspettative e realtà delle cose siano effettivamente vicine. O distanti.
Hai un progetto che pensi potrebbe beneficiare di realtà virtuale o aumentata? Oppure vuoi un virtual tour in video 360 o ricostruzioni CGI della tua azienda, museo, spazio fisico di ogni genere?
Ci trovi alla nostra pagina dei contatti, così facciamo quattro chiacchiere e vediamo se ti possiamo aiutare.
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